Non e' ancora passata una settimana, eppure mi sembra di essere qua da una vita.
Tutto scorre con un'intensita' disarmante, e anche le cose piu' banali lasciano il segno. Mi alzo alla mattina e non ho un'idea di cosa fare dopo quell'approccio morbido alle lezioni che mi sto concedendo, ma poi mi trovo ad andare a dormire con duecento giga di memoria occupata, riempita durante la giornata.
Quando non so cosa fare, cerco il cappello dell'heineken, l'mp3 di ordinanza e vado a farmi un giro. Cammino per quartieri che sembrano tutti uguali ma che tutti uguali non sono, entro nei negozi di vestiti o di elettronica o nei market, dopo 5 minuti esco e vado a caso. E quando trovo un semaforo rosso, prendo dove e' verde e il problema e' risolto.
Mi si potrebbe obiettare che non serve a un cazzo. Ma allora a cosa serve lavorare, sbattersi, incazzarsi, fare 200 km in una giornata per risolvere qualsiasi problema se poi uno non puo' neanche dare un'occhiata a come e' fatto questo famoso mondo?
Questo mi va di fare e questo faccio.
Arrivo appena adesso dalla lavanderia (l'altra sera mi sono rovesciato sui jeans una candela che e' caduta di colpo dal suo basamento, ma la colpa probabilmente non e' ne di candela o basamento ma di birra e vodka). Per trovarla, sono entrato in un videogioco della playstation e mi sono trovato in una citta' virtuale disegnata da qualcuno sicuramente troppo scazzato, quando ho trovato la magica scritta che mi ha illuminato:
SKALBYKLA.
Lavanderia. Scendo 3 scalini sotto il livello del globo, entro in una porta progettata quando l'umanita' era ancora alta 1 e 50, e mi trovo in una cantinaccia piena di lavatrici enormi dell'epoca non di stalin non di lenin ma credo degli zar, e mi si avvicina la lavandara, una donna che fu sicuramente molto bella, ora sui 50. Senza dirmi niente, senza il minimo dubbio, mi da' la mia borsa sorridendo. Ieri era andato Paolo a portargliela, il mio compagno di stanza, uno degli altri 2 italiani qua in esilio, ed obiettivamente non mi assomiglia per niente. Fatto sta che mi ha riconosciuto, l'italiano, cosi come mi guardano interessati se entro in una copisteria non in centro ma poco piu in la'.
Credo di aver fatto una buona scelta a tirar fuori dal cilindro un erasmus in Lithuania, a parte il fatto che le tastiere dei computer qua non hanno gli accenti e questo mi irrita alquanto. Poi, e' ancora presto per dirlo. Questa mattina, pero' ho accompagnato Paolo nell'International Relation Office: ha consegnato il modulo di richiesta prolungamento, non scappera' a dicembre ma aspettera' sei mesi ancora.
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